Page 28 - Costellazioni 7-2020
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L’infinito
L’infinito
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
(G. Leopardi)
È davvero superfluo ricordare la biografia di questo autore così ben noto a tutti, ma può essere interessante, nell’occasione della ricorren-
za (2019) del 200esimo anniversario di questa sua altrettanto ben nota poesia, di un sempre attuale, fare qualche riflessione. Nella poesia
“L’infinito”, l’esperienza di una sensazione visiva diventa un processo interiore che trascende la realtà. Il giovane Leopardi vive l’esperienza della
perdita di una coscienza razionale, dell’annullamento di sé, e scompare, o meglio, “naufraga” in un istante di eternità. In quell’istante d’eterno egli
si immerge, si “tuffa”. Questo tuffarsi non può non ricordare il famoso haiku della rana del poeta giapponese Matsuo Basho, un’esperienza non
così diversa. Qualche secolo dopo Cesare Pavese ebbe modo di definirsi “..figlio di una generazione di girini che non volevano diventare rane..”.
Ma questo è solo un pretesto per dire che nel suo “vizio assurdo” (“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”), pur nella grande diversità possiamo
sentire molte delle stesse vibrazioni che possiamo ascoltare in Basho e in Leopardi. Tra Oriente e Occidente la grande poesia, in quanto tale, non
conosce epoca né confini geografici e/o culturali. E se è la poesia la sola capace a spiegarci la vita, questo è allora un invito ad aprirci ad essa e a
trascendere tutte le differenze. Di questi tempi più che mai.
Stefanie Kimmich